IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva; O S S E R V A Con ricorso depositato in data 21 febbraio 1992 Massara Matilde, premesso di fruire dal 1 dicembre 1982 di pensionamento anticipato in applicazione dell'art. 16 della legge 23 aprile 1981, n. 155, e che in forza del limite di cinquantacinque anni, posto da quest'ultima norma per le lavoratrici, l'I.N.P.S. aveva respinto la sua domanda di ottenere la riliquidazione del trattamento pensionistico sulla base di una anzianita' contributiva fino al compimento del sessantesimo anno di eta', cosi' come statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 371 del 6 luglio 1989, si rivolgeva al pretore di Pavia chiedendo l'accoglimento della domanda succitata. Avverso la sentenza 16 marzo-17 giugno 1993, che respingeva il ricorso, la Massara proponeva appello assumendo, in principalita', l'applicazione in via interpretativa alla fattispecie in esame del principio affermato dalla Corte costituzionale nella pronuncia sopra richiamata; in subordine chiedendo che venisse sottoposto al vaglio della Corte, per contrasto con gli articoli 3, 37 e 38 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16, primo comma, della legge citata. Rileva preliminarmente il collegio che l'assunto dell'appellante secondo il quale la pronuncia di incostituzionalita' di cui alla sentenza n. 371/1989 avrebbe una portata generale, non limitata alle sole aziende del settore siderurgico, e, quindi, immediatamente applicabile al caso in esame non puo' essere condiviso in quanto, come emerge chiaramente dalla sentenza, la pronuncia di illegittimita' costituzionale ha avuto per oggetto il combinato disposto dell'art. 16 della legge n. 155/1981 e 1 della legge n. 193/1984 nella parte in cui non riconosceva alla lavoratrice del settore siderurgico, in caso di pensionamento anticipato al compimento del cinquantesimo anno di eta', di conseguire la medesima anzianita' contributiva fino a sessanta anni come per il lavoratore, vale a dire ha investito l'art. 16 non in se', ma solo nei limiti in cui, in forza del richiamo operato dall'art. 1, rendeva quest'ultima disposizione illegittima. Merita, invece, accoglimento l'istanza, subordinata, di sottoporre al vaglio della Corte la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16 citato per contrasto con gli artt. 3 e 37 della Costituzione. Quest'ultima norma, dopo aver premesso che possono fruire di pensionamento anticipato i lavoratori delle imprese specificate nell'articolo i quali possano far valere una determinata anzianita' contributiva ed abbiano compiuto cinquantacinque anni di eta', se uomini, e cinquanta, se donne, precisa che il trattamento pensionistico spettante e' determinato sulla base della anzianita' contributiva "aumentata di un periodo pari a quello compreso fra la data di risoluzione dei rapporti e quella di compimento di sessanta anni, se uomini, o cinquantacinque, se donne". Orbene, se e' vero che in base alla norma citata, e diversamente dalla fattispecie presa in considerazione della Corte con la sopramenzionata sentenza n. 371/1989, nell'ipotesi in esame viene riconosciuta a tutti i lavoratori, uomini e donne, la medesima anzianita' contributiva (cinque anni), tuttavia permane una diversita' di trattamento fra l'uomo e la donna in ordine al godimento del beneficio che giustifica il dubbio di incostituzionalita' sollevato dall'appellante. Ed invero, l'articolo in esame, stabilendo, sul presupposto che l'eta' pensionabile per la donna sia fissata al cinquantacinquesimo anno di eta', solo per quest'ultima il limite di cinquantacinque anni, nonostante il principio, piu' volte affermato dalla Corte costituzionale, che l'eta' lavorativa e' uguale per la donna e per l'uomo e che quindi anche la prima (fermo restando la facolta' di andare in pensione a cinquantacinque anni) ha diritto di lavorare fino a sessanta anni (v. oltre la sentenza n. 371/1989, le sentenze nn. 137/1986 e 498/1988), finisce con il precludere alla lavoratrice, che decida, come nel caso di specie, di risolvere il rapporto di lavoro dopo i cinquanta anni, di fruire dell'anzianita' contributiva nella misura massima consentita (fino a cinque anni), pur non raggiungendo il limite dei sessanta anni. Ne' vale obiettare che anche l'uomo, ove risolva il rapporto di lavoro dopo i cinquantacinque anni, godrebbe del beneficio non nell'intera misura prevista posto che, in questo caso, il mancato conseguimento dell'accreditamento contributivo nel massimo trova giustificazione nel limite del compimento del sessantesimo anno di eta', momento quest'ultimo che individua il termine dell'eta' lavorativa. Analogo discorso non puo' invece farsi per la lavoratrice in quanto il compimento del cinquantacinquesimo anno di eta', come si e' in precedenza evidenziato, non coincide con l'eta' pensionabile per la donna e, quindi, non si configura idoneo a giustificare una riduzione del beneficio in parola. Sotto questo profilo non manifestamente infondata appare la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 37 della Costituzione, dell'art. 16, nella parte in cui, prevede- ndo che per la donna l'anzianita' contributiva sia aumentata di un periodo pari a quello compreso fra la data di risoluzione del rapporto e quella di compimento di cinquantacinque anni riserva alla lavoratrice un trattamento diverso e deteriore rispetto all'uomo. La rilevanza della questione sollevata e', d'altro canto, evidente ove si consideri che solo nell'ipotesi in cui sia ritenuta fondata da parte della Corte potrebbe essere riconosciuto il diritto azionato dall'appellante, che si e' avvalsa della facolta' prevista dall'art. 16 all'eta' di cinquantaquattro anni, ad ottenere la riliquidazione del trattamento pensionistico sulla base di una anzianita' contributiva fino al compimento del cinquantanovesimo anno di eta' e non piu', come attualmente previsto dalla norma, del cinquantacinquesimo anno. Sul punto va, infatti, rilevato che non e' condivisibile l'assunto dell'appellante secondo cui l'accreditamento contributivo dovrebbe essere riconosciuto fino a sessanta anni (e quindi per cinque anni e cinque mesi), atteso che in tal modo si verrebbe a riconoscere alla sola lavoratrice una anzianita' contributiva superiore a quella riconosciuta al lavoratore e pari nel massimo a cinque anni. Ed invero, la circostanza che la donna, in considerazione della facolta' riconosciutale dall'ordinamento di conseguire la pensione di vecchiaia gia' a cinquantacinque anni, possa godere del pensionamento anticipato ad una eta' inferiore a quella stabilita per l'uomo (cinquanta anni anziche' cinquantacinque anni) non puo' incidere sul periodo di anzianita' contributiva da riconoscersi, il quale rimane comunque nel massimo di cinque anni come per l'uomo (v. sul punto Corte costituzionale n. 503/1991). Il presente giudizio va pertanto sospeso e gli atti trasmessi, a cura della cancelleria, alla Corte costituzionale.